Graziano Binda - il chitarrista
Marco Binda - il batterista
Katia Guerra - la voce
Paolo Rattà - l'hammondista
Paolo Sacchi - il bassista
Pino Veronesi - il pianista (voce, percussioni)
La cifra poetica di questa narrazione è il luogo, quel lembo di città chiamato Rondò Carducci come cornice.
La rotonda del paese che s'è fatto quartiere, i luoghi dell'infanzia, dei sogni e delle delusioni, la piazza e i suoi ragazzi di strada. I nostri amici e i nostri riferimenti culturali.
Lì la band affonda le radici, la sua identità; il rapporto tra spazio e persone è vicendevole, l'uno sta in funzione dell'altro, un rapporto di reciproca interattività.
E quella cantina che è la stessa sala-prove di trentacinque anni prima.
Possiamo dire che fu il bagliore di una serata, quell'adunata del 22 luglio 2004 che, passata alla storia locale col titolo di "Come passa il tempo", ha costituito l'embrione emotivo per riportare in vita quei germi rimasti troppo a lungo ibernati.
L'atto di nascita della Rondoband: la musica che ritornava la vita possibile, una nuova deviazione della sorte.
Una musica da restituire alla sua magia e alla sua epifania, all'imperfezione che diventa colpo magistrale.
Siamo davanti a musicisti che sono rimasti bambini nella voglia di stupire, di divertire e di divertirsi; di essere solisti in un grande gioco di squadra, che lungo i saliscendi della vita hanno imparato a destreggiarsi con opportuna leggerezza.
Il tutto con la semplicità dei giusti, che è dono sempre più raro, ed è così che il loro popolo lo riconosce come un conforto, come il loro carnevale permanente.
Uno spettacolo a tutto tondo, un'apoteosi balsamica. Un repertorio che è antologia, una scaletta di brani come tappe nell'immaginario di musicisti davanti allo specchio. E loro al centro.
Ad ognuno che ascolta compare all'improvviso quel brano che ti crea un soprassalto; come un singhiozzo, un'aritmia del cuore, un crampo nell'anima.
Trasformano il concerto in happening; come sempre Concerto Grosso è una dolce collina ed Impressioni di Settembre un mantra collettivo; come sempre si parte piano, all'alba del beat, e poi si finisce tosti, duri e puri con Deep Purple, Creedence e via salendo come una lama alla cristallizzazione del rock.
A far da quinta, vent'anni di classici ripercorsi in lungo e in largo: New Trolls, Beatles, Battisti, PFM, Joe Cocker (con l'imponente With a little help from my friends) Eagles, Procol Harum (due perle come A whiter shade of pale e Homburg), Aphrodite's Child, Santana, Dalla, Elton John, Dire Straits, Police, Toto, Pink Floyd, Deep Purple, Janis Joplin, Matia Bazar, Nannini, Zucchero, Doobie Brothers (dai quali pescano l'indimenticabile Long train runnin'), Dire Straits (con quel Tunnel of love da brividi ) e una golosità come la rivisitazione, già compiuta da Keith Emerson, di Honky tonk train blues.
Ma non è ancora tutto perché le loro influenze toccano e rendono omaggio ai grandi cantautori; una maturità, quella della Rondoband, che consente loro di confrontarsi senza alcuna soggezione anche con queste atmosfere, con questa qualità di scrittura. Quasi il sapore di una chiusura del cerchio.
E' l'armadio dei ricordi o forse già lo scaffale della storia, i vinili costati i pochi soldi che ti giravan per le tasche, un mondo di solchi adorati e consumati, opere che hanno onorato il proprio tempo trasportate e tramandate con immutata freschezza nel nuovo millennio.
Quella che propone la Rondoband ne è una testimonianza preziosa e fedele, non una replica da remainders; qui è l'ascoltatore che ritrova i suoi amori e naufraga tra quelle note.
La narrazione tiene fino in fondo e si fa divorare: si vede come questo gruppo si è nutrito di grandi autori e di grandi interpreti.
Suoni che si esaltano nella dimensione integralmente live, seducendo per la fluidità d'espressione e l'ottima padronanza tecnica; una formazione potente, una vera macchina da musica, ben oliata e ingranata.
Tutto questo è la Rondoband.
La band vista da un amico